La Cantoria delle 11

 

 

“Lodate il Signore: è bello cantare al nostro Dio, dolce è lodarlo come a Lui conviene” (Sal. 146,1)

 

                                                                                                                                   

Storia della Cantoria

 

I primi canti liturgici furono eseguiti da due amiche adolescenti che negli anni 70, scambiandosi con nonchalance chitarra e tastiera ed unendo voci melodiosamente acerbe, animavano le messe Bussolenesi. Poi un bel gruppo di giovanotti che, non stanchi di indossare la divisa e di vivere le vocalità del locale "Coro Alpino Valsusa" si cimentavano con altri generi musicali e si aggregarono alle due amiche di cui sopra. 

Poi i "padri nobili": una cantoria preesistente che aveva saputo portare a Bussoleno una ventata di musica nuova tale da far sgranare gli occhi al nostro gruppetto di musici imberbi.

Da quelle radici, ecco suggestioni musicali varie, sensibilità artistiche diverse, innesti di musicisti che poi "faranno carriera": il tutto senza un "capo" ma con una creatività veramente corale.

Tutto questo per trent'anni, domenica alle 11 nella Chiesa di Bussoleno, all'insegna del motto "Cantar non nuoce" regalatoci dal nostro cantore filosofo, là dove parroci pazienti hanno avuto la bontà di accoglierci.

 

 

(tratto da un'intervista effettuata in occasione del trentennale nel 2009)


In occasione del trentennale,

i canti sono stati raccolti in un cd

La Cantoria continua a cantare oggi accompagnando la Messa della domenica delle 11, e prova ogni venerdì dalle 21,00. E' aperta a chiunque voglia unirsi a noi: vienici a trovare alle prove il venerdì sera alle 21 in chiesa oppure, se preferisci puoi incontrarci dopo la messa delle 11 la domenica mattina. Ti aspettiamo!!!


Per scriverci l'indizzo mail è gruppovocale11@gmail.com



CANTANDO...

MOMENTI INSIEME...

IN LIBERE BALLATE

(D.M. Turoldo)

 

E’ tempo, amici, di unire le voci

di fonderle insieme

         in contemplazione

e silenzio:

 

Il cielo è troppo alto

e vasto

perché risuoni di questi

solitari sospiri e gemiti.

 

E’ tempo di unire le voci,

di fonderle insieme

e insieme a noi

natura e grazia

tornino a cantare,

e la bellezza a vincere!

 

Come un tempo cantavano le foreste

tra salmo e salmo

dai maestori cori

e il brillio delle vetrate

e le absidi in fiamme.

 

E i fiumi battevano le mani

al Suo apparire dalle cupole

lungo i raggi obliqui della sera;

e angeli volavano sulle case

e per le campagne e i deserti

riprendevano a fiorire.

 

Oppure si udiva fra le pause

scricchiolare la luce nell'orto, quando

pareva che un usignolo cantasse

"Filii et Filiae", a Pasqua.

 

Ora invece la terra

si fa sempre più orrenda

e inospitale:

 

il tempo è malato

i fanciulli non giocano più

le ragazze non hanno

più occhi

che splendono a sera.

 

E anche gli amori

non si cantano più,

le speranze non hanno più voce.

I morti doppiamente morti

al freddo di queste liturgie;

e ognuno torna alla sua casa

sempre più solo:

non ha più la gioia la gente

a credere.

 

Tempo è di tornare poveri

per ritrovare il sapore del pane,

per reggere alla luce del sole

per varcare sereni la notte

e cantare la sete della cerva.

E la gente, l'umile gente

abbia ancora chi l'ascolta,

e le preghiere trovino udienza.

 

E non chiedere nulla,

se non di cantare.


Qualcosa sul canto liturgico...

Cantare è per l’uomo una maniera di donarsi per essere più vicino a Dio e agli altri. Nella liturgia la musica e il canto sono “un elemento necessario ed integrante”, quasi indispensabile; il canto, soprattutto, non ha un compito “riempitivo” o “decorativo", solo per creare il clima o l’atmosfera, o per “imbellettare” un rito: si canta per celebrare, per portare fuori di sé e per far conoscere agli altri quello che Dio fa per il bene dell’uomo.


La liturgia è un evento che coinvolge la totalità della persona e che ha delle ripercussioni anche a livello emotivo, suscita entusiasmo che è frutto di una fede consapevole e matura. L’uomo che canta è una creatura di Dio, è un credente che collabora con Dio, è lui stesso che cerca di diventare canto, alleluia quotidiano, espressione viva di lode e di adorazione al Dio che salva. Il cristiano canta con la vita, il cristiano canta perché Cristo continua a cantare in lui e perché con il suo canto egli continua il canto di Cristo e il canto dell’umanità liberata dalla paura di donarsi.


Il canto ha la funzione di prolungare i temi della rivelazione, ossia di rendere onore all’azione di Dio che si incarna nell’azione dell’uomo-servo fedele, dell’uomo-figlio di Dio come Gesù di Nazareth; ha la funzione di rendere onore anche alla sua grandezza e alla potenza con cui nella morte e risurrezione di Cristo ha superato il principe di questo mondo. Cantare è ripercorrere la storia della salvezza per diventare contemporanei dei fatti evocati.


Il canto svolge una funzione profetica e pasquale: spesso, invece, i nostri canti raccontano noi stessi, i nostri problemi, le nostre attese, i nostri drammi, i nostri gusti, le nostre esigenze etc., ma non raccontano Dio, il suo mistero e la sua presenza che si svela e si dona. Nella liturgia si canta e si racconta prima di tutto la vita e le opere di Dio, è attraverso di essa che Dio continua ad essere Redentore e Salvatore.


I canti assolvono a questa funzione fondamentale: cantare l’azione e le opere di Dio; e poiché la liturgia è celebrazione di Dio, bisogna scegliere quei canti in cui è Dio che si celebra e si racconta.

Il canto liturgico per eccellenza è quello che “mette insieme” Parola di Dio e musica ‘santa’; non si può non attingere alla “scuola” della Sacra Scrittura nella quale molti testi sono veri e propri canti liturgici, essa è come una sorgente di acqua che disseta, come un cibo capace di nutrire la propria formazione, la propria vita e la propria liturgia. Per cantare nella liturgia il popolo di Dio ha bisogno non di parole qualsiasi, ma parole umane santificate e vivificate dal respiro di Dio.


Per celebrare la santità, la bontà e l’amore di Dio non si può utilizzare qualcosa che dal punto di vista umano e artistico sia inaccettabile. Nella liturgia non si può cantare qualsiasi cosa, bisogna prestare attenzione anche a ciò che esprime il canto e a quello che si vuole esprimere attraverso di esso: musica e canto non sono fine a se stessi. Hanno lo scopo di esprimere la partecipazione a ciò che si celebra, servono ad entrare nel mistero celebrato e a starci con sentimenti di lode e di adorazione o comunque in sintonia con l’azione che si svolge.


Cantare è un’azione al servizio dello Spirito e di cui lo Spirito si serve per l’edificazione della comunità ecclesiale e per la sua manifestazione. Si canta perché lo Spirito ci fa cantare, come Maria, di fronte all’opera di Dio, che è la Chiesa, perché quest’opera si realizzi pienamente o si rinnovi. Cantare serve a portare a compimento l’opera di Dio che si sta celebrando e che è la comunione delle persone in Cristo e tra di loro: cantare è un’azione unificante: il canto è un’azione simbolica e spirituale che esprime e favorisce la comunione delle persone che cantano; di conseguenza non cantare significa non favorire l’azione dello Spirito.

Il Concilio non si è limitato a dire che nella liturgia si canta e che si deve cantare insieme: “Non c’è niente di più bello e di più solenne di un’assemblea, in cui tutti insieme si esprime nel canto la propria fede e la propria lode” (M.S. 16). Bisogna fare i conti con il soggetto umano principale dell’azione liturgica che è il popolo di Dio.

Si dice comunemente “si canta per la gloria di Dio”, ciò deve significare che bisogna offrire il proprio canto affinché l’opera di salvezza che Dio compie attraverso l’azione liturgica possa avere successo; significa cantare perché Dio “scenda” e rinnovi il mistero della incarnazione nel cuore dell’assemblea e di ogni credente, facendone “un tempio santo nel Signore, un’abitazione di Dio nello Spirito, fino a raggiungere la pienezza di Cristo” (SC 2).


               


               (tratto da un articolo di Marco Intravaia, organista titolare del Duomo di Monreale)